PROPOSTE DI ASCOLTO E LETTURA

Funerale dr Luca Attanasio CELEBRAZIONE EUCARISTICA – OMELIA Limbiate, 27 febbraio 2021
(Sap 3,1-9; Apc 21,1-7; Mt 25, 31-46)

Infine, solo, alla presenza del Signore

1. Alla presenza del Signore.
Viene poi il momento in cui ciascuno sta solo, alla presenza del Signore.
Finiscono i clamori, tacciono le parole, la gente radunata si disperde e ciascuno sta, solo, alla presenza del Signore.
Sono dimenticate le imprese, risultano insignificanti gli onori, i titoli, i riconoscimenti e ciascuno sta, solo, alla presenza del Signore.
Perde interesse la cronaca, le parole buone e le parole amare, la retorica e le celebrazioni e ciascuno sta, solo, alla presenza del Signore.

2. Che cosa mi dirà il Signore? Che cosa dirò al Signore?
La pagina del Vangelo descrive quello che mi potrà dire il Signore, quello che io potrò dire al Signore, quando, come tutti, starò, starò solo alla presenza del Signore.

Il Signore dirà: “Da dove vieni, Luca, fratello?”.
E Luca risponderà: “Vengo da una terra in cui la vita non conta niente; vengo da una terra dove si muore e non importa a nessuno, dove si uccide e non importa a nessuno, dove si fa il bene e non importa a nessuno. Vengo da una terra in cui la vita di un uomo non conta niente e si può far soffrire senza motivo e senza chiedere scusa!”.
Il Signore dirà: “Non dire così, Luca, fratello mio. Io scrivo sul libro della vita il tuo nome come il nome di un fratello che amo, di un fratello che mi è caro, che desidero incontrare per condividere la vita e la gioia di Dio! non dire così fratello. Io ti benedico per ogni bicchiere d’acqua, per ogni pane condiviso, per ospitalità che hai offerto. Vieni benedetto del Padre mio e ricevi in eredità il regno preparato per te fin dalla creazione del mondo”.

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Il Signore dirà: “Perché ti volgi indietro, Luca, fratello mio?”.
E Luca risponderà: “Mi volgo indietro perché considero quello che resta da fare, considero l’incompiuto che attende il compimento, le promesse che avrei dovuto onorare, la missione che avrei dovuto compiere. Ecco: troppo breve la vita. Ecco, troppe attese sospese! Perciò mi volgo indietro!”.
E il Signore dirà: “Non volgerti indietro, Luca, fratello mio. Troppo breve è stata la tua vita, come troppo breve è stata la mia vita. Eppure dall’alto della croce si può gridare: “È compiuto!”, come nel momento estremo si può offrire il dono più prezioso, senza che il tempo lo consumi. Perciò non volgerti indietro, Luca, fratello mio; entra nella vita di Dio: tu sarai giovane per sempre!”

E il Signore dirà ancora: “Perché sei ferito, Luca, fratello mio?”
E Luca risponderà: “Sono ferito perché così gli uomini trattano coloro che li amano e coloro che li servono: mi rendono male per bene e odio in cambio di amore (Sal 108,5). Sono ferito perché ci sono paesi dove la speranza è proibita, dove l’impresa di aggiustare il mondo è dichiarata fallita, dove la gente che conta continua a combinare i suoi affari e la gente che non conta continua a ferire e ad essere ferita. Ecco perché sono ferito, perché ecco come sono i malvagi: sempre al sicuro, ammassano ricchezze (Sal 73,12) e contro il giusto tramano insidie (cfr Sal 37,12) e non c’è chi faccia giustizia!”. E il Signore dirà: “Non dire così, Luca, fratello mio. Guarda le mie ferite, le ho ricevute dai miei fratelli; e guarda il mio cuore: dal mio fianco esce sangue e acqua; se il chicco di grano, caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore porta molto frutto (Gv 12,24). Ho seminato nella storia un seme di amore che produce frutti di amore, e chi rimane nell’amore rimane in me e io in lui.
La gente che conta e ammassa ricchezze è destinata a morire e per loro sarà pronunciato il giudizio: via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli (Mt 25,41).
Ma i miti erediteranno la terra, i giusti sono benedetti e benedetta la loro discendenza”.

E il Signore dirà ancora: “Perché piangi, Luca, fratello mio?”

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E Luca risponderà: “Piango perché piangono le persone che amo; piango perché restano giovani vite che hanno bisogno di abbracci e di baci, di coccole e di parole vere e forti e non sarò là per asciugare le loro lacrime e condividere le loro gioie; piango perché dopo il clamore scenderà il silenzio, dopo la notorietà arriverà l’oblio: chi si prenderà cura delle giovani vite che io non vedrò camminare nella vita”.

E il Signore dirà: “Non dire così, Luca, fratello mio. Io manderò lo Spirito Consolatore, Spirito di sapienza e di fortezza, Spirito di verità e di amore e si stringeranno in vincoli d’affetto invincibile coloro che ti sono cari e nessuno sarà abbandonato e io stesso tergerò ogni lacrima dai loro occhi, e i vincoli di sangue, i vincoli di affetto, i vincoli di amicizia saranno più intensi e più veri, più liberi e più lieti. La tua partenza non diventerà una assenza, la tua presenza nella gioia del Padre non sarà una distanza. Non piangere più, Luca, fratello mio!”.

Come ambasciatore d’Italia nella repubblica del Congo, ha servito instancabilmente la causa della pace e della giustizia. In queste tragiche ore abbiamo anche appreso che, da giovane, Luca era venuto più volte a Taizé per partecipare ai nostri incontri internazionali. Abbiamo anche sentito che aveva partecipato attivamente, nella sua parrocchia di Limbiate, all’incontro europeo di Taizé a Milano.

Desidero quindi assicurarle la nostra profonda comunione, nella riconoscenza per la sua vita donata. Il Signore ora lo accoglie nella vita eterna. Con lei, prego:
Spirito Santo, Spirito consolatore, tu vieni a illuminare le nostre vite e consolare i cuori che sono nel dolore. Ti affidiamo Luca Attanasio, Vittorio Iacovacci, Mustapha Milambo, deceduti tragicamente e preghiamo per la pace nella Repubblica Democratica del Congo. Luce nell’oscurità, tu ci riempi di speranza e noi osiamo dirlo con la nostra vita: “Cristo è risorto!”. Rimaniamo in profonda comunione con lei e la Chiesa di Milano. Fraternamente. Frère Alois

Come ambasciatore d’Italia nella repubblica del Congo, ha servito instancabilmente la causa della pace e della giustizia. In queste tragiche ore abbiamo anche appreso che, da giovane, Luca era venuto più volte a Taizé per partecipare ai nostri incontri internazionali. Abbiamo anche sentito che aveva partecipato attivamente, nella sua parrocchia di Limbiate, all’incontro europeo di Taizé a Milano.

Desidero quindi assicurarle la nostra profonda comunione, nella riconoscenza per la sua vita donata. Il Signore ora lo accoglie nella vita eterna. Con lei, prego:
Spirito Santo, Spirito consolatore, tu vieni a illuminare le nostre vite e consolare i cuori che sono nel dolore. Ti affidiamo Luca Attanasio, Vittorio Iacovacci, Mustapha Milambo, deceduti tragicamente e preghiamo per la pace nella Repubblica Democratica del Congo. Luce nell’oscurità, tu ci riempi di speranza e noi osiamo dirlo con la nostra vita: “Cristo è risorto!”. Rimaniamo in profonda comunione con lei e la Chiesa di Milano. Fraternamente. Frère Alois

CORONAVIRUS .... E IL CAMBIAMENTO

Siamo in cura, non in guerra ….di Guido Dotti, Monaco di Bose                                                 

di Guido Dotti – Monaco di Bose    29 marzo 2020

   Per una nuova metafora del nostro oggi

No, non mi rassegno. Questa non è una guerra, noi non siamo in guerra.

Da quando la narrazione predominante della situazione italiana e mondiale di fronte alla pandemia ha assunto la terminologia della guerra – cioè da subito dopo il precipitare della situazione sanitaria in un determinato paese – cerco una metafora diversa che renda giustizia di quanto stiamo vivendo e soffrendo e che offra elementi di speranza e sentieri di senso per i giorni che ci attendono.

Il ricorso alla metafora bellica è stato evidenziato e criticato da alcuni commentatori, ma ha un fascino, un’immediatezza e un’efficacia che non è facile debellare (appunto). Ho letto con estremo interesse alcuni dei contributi – non numerosi, mi pare – apparsi in questi giorni: l’articolo di Daniele Cassandro (“Siamo in guerra! Il coronavirus e le sue metafore”) per Internazionale, la mini-inchiesta di Vita.it su “La viralità del linguaggio bellico”, l’intervento di Gianluca Briguglia nel suo blog su Il Post (“No, non è una guerra”) e l’ottimo lavoro di Marino Sinibaldi su Radio 3 che ha dedicato una puntata de “La lingua batte” proprio a questo tema, introducendo anche una possibile metafora alternativa: il “lessico della tenacia”. Le decine di artisti, studiosi, intellettuali, attori invitati a scegliere e illustrare una parola significativa in questo momento storico hanno fornito un preziosissimo vocabolario che spazia da “armonia” a “vicinanza”, ma fatico a trovarvi un termine che possa fungere anche da metafora per l’insieme della narrazione della realtà che ci troviamo a vivere.

Eppure, come dicevo da subito, non mi rassegno: non siamo in guerra!

   Per storia personale, formazione e condizione di vita, conosco bene un crinale discriminante, quello tra lotta spirituale e guerra santa o giusta, lungo il quale è facile perdere l’equilibrio e cadere in una lettura di se stessi, delle proprie vicende e del corso della storia secondo il paradigma della guerra.

Ma allora, se non siamo in guerra, dove siamo? Siamo in cura!

Non solo i malati, ma il nostro pianeta, tutti noi non siamo in guerra ma siamo in cura. E la cura abbraccia – nonostante la distanza fisica che ci è attualmente richiesta – ogni aspetto della nostra esistenza, in questo tempo indeterminato della pandemia così come nel “dopo” che, proprio grazie alla cura, può già iniziare ora, anzi, è già iniziato.

Ora, sia la guerra che la cura hanno entrambe bisogno di alcune doti: forza (altra cosa dalla violenza), perspicacia, coraggio, risolutezza, tenacia anche… Poi però si nutrono di alimenti ben diversi. La guerra necessita di nemici, frontiere e trincee, di armi e munizioni, di spie, inganni e menzogne, di spietatezza e denaro… La cura invece si nutre d’altro: prossimità, solidarietà, compassione, umiltà, dignità, delicatezza, tatto, ascolto, autenticità, pazienza, perseveranza…

Per questo tutti noi possiamo essere artefici essenziali di questo aver cura dell’altro, del pianeta e di noi stessi con loro. Tutti, uomini e donne di ogni o di nessun credo, ciascuno  per le sue capacità, competenze, principi ispiratori, forze fisiche e d’animo. Sono artefici di cura medici di base e ospedalieri, infermieri e personale paramedico, virologi e scienziati… Sono artefici di cura i governanti, gli amministratori pubblici, i servitori dello stato, della res publica e del bene comune… Sono artefici di cura i lavoratori e le lavoratrici nei servizi essenziali, gli psicologi, chi fa assistenza sociale, chi si impegna nelle organizzazioni di volontariato… Sono artefici di cura maestre e insegnanti, docenti e discenti, uomini e donne dell’arte e della cultura… Sono artefici di cura preti, vescovi e pastori, ministri dei vari culti e catechisti… Sono artefici di cura i genitori e i figli, gli amici del cuore e i vicini di casa… Sono artefici – e non solo oggetto – di cura i malati, i morenti, i più deboli, beni preziosi e fragili da “maneggiare con cura”, appunto: i poveri, i senza fissa dimora, gli immigrati e gli emarginati, i carcerati, le vittime delle violenze domestiche e delle guerre…

Per questo la consapevolezza di essere in cura – e non in guerra – è una condizione fondamentale anche per il “dopo”: il futuro sarà segnato da quanto saremo stati capaci di vivere in questi giorni più difficili, sarà determinato dalla nostra capacità di prevenzione e di cura, a  cominciare dalla cura dell’unico pianeta che abbiamo a disposizione. Se sappiamo e sapremo essere custodi della terra, la terra stessa si prenderà cura di noi e custodirà le condizioni indispensabili per la nostra vita.

Le guerre finiscono – anche se poi riprendono non appena si ritrovano le risorse necessarie – la cura invece non finisce mai. Se infatti esistono malattie (per ora) inguaribili, non esistono né mai esisteranno persone incurabili.

Davvero, noi non siamo in guerra, siamo in cura! …… Curiamoci insieme

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